lettera n - Tarsia dialetto

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N

N: consonante, che può avere molti significati: a) posta in inizio di parola, ha una funzione eufonica (per esempio, “ntippulu”, “ntracina”), che migliora soltanto e rafforza la pronuncia della parola (in questo caso non necessita del segno  (') all'inizio; b) sempre in inizio di parola, ma quando indica la preposizione “in”, va aggiunto il segno d'aferesi (') (per esempio, in cielo “'ncijli”, in terra “'nterra”). Ancora sulla preposizione semplice “in” bisogna dire che, in unione con l'articolo, non si trasforma mai nella corrispondente preposizione articolata, ma assume una costruzione diversa (per esempio: nella casa, “ghind'a casa”, “'nda casa”; nella maida, “'ndà majiddhra”). Qualche volta può anche tramutarsi in ('m), se posta davanti ad alcune consonanti (per esempio: in paradiso, “'mparavisi”; in bocca “'mmucca”; in fronte, “'mprunda”).

Na: articolo indeterminativo, una. Dal latino “una”.

Naca: culla. Dal greco “nàche” (culla fatta con vello di pecora); anche in arabo “naqah” e in sumero “nàcher”. Una efficace descrizione ne fa Carlo Levi in “Cristo si è fermato ad Eboli”:...i bimbi più piccoli, finché prendono il latte,...sono tenuti in piccole culle o cestelli di vimini, appesi al soffitto con delle corde e penzolanti poco più in alto del letto. (Ed. Einaudi, 1994).

Naca: era un gioco di abilità che si praticava in due: si intrecciavano dei fili, di solito spago, tra le dita indice e pollice e si formavano varie figure geometriche. Dal greco “nache” (era anche il tessitore, o il tintore di fili).

Nannuzzu, nannuzza: nonno, nonna. Da un tardo latino “nonnus”. In origine era titolo attribuito agli anziani in generale, oppure, nei conventi, ai monaci di età più avanzata.

Nappa: mento sporgente. Dal longobardo “nappa”. Anche in Veneto e Friuli ha lo stesso significato.

Nasca: narici, naso grosso. Da un tardo latino volgare “nasica”.

Natavota: un'altra volta, nuovamente. Dal latino “ in altera volta”.

Naticchia, naticchila: voce ormai in disuso. (Vocabolo suggerito da Maria Grazia Grispino). Era il nottolino, un pezzo di legno che, girando sopra un perno, serviva a chiudere, dall'interno, usci, finestre, cancelli. Potrebbe derivare dal latino “noctua”, civetta, uccello notturno di rapina, e quindi il termine ha un significato metaforico; oppure sempre dal latino “anaticula”, piccola anatra, per la somiglianza del pezzetto di legno con il suo becco (Tito Maccio Plauto, un commediografo romano del 2° sec. a. C., ne fa cenno in una sua commedia).

Ncacanata: accovacciato, accoccolato come di chi sta defecando. Dal latino “cacare”.

Ncacchiare: ha più significati. Legare un animale con il cappio,  prendere con forza, investire con irruenza, aggrovigliare, avere rapporti sessuali. Dal latino “in capulare” frequentativo dal verbo “capere”.

Ncafunare: inghiottire, trangugiare avidamente. Per metatesi, dal greco “faghein”, mangiare avidamente (termine omerico), oppure sempre dal greco "catacsionazo".

Ncafurchiare: rintanarsi. Stessa etimologia di “forchia”.

Ncagnare: essere dispiaciuto, avvilirsi, tenere il broncio, immusonirsi. Dal latino “canis”, nel senso di arrabbiarsi come un cane. Oppure, sempre dal latino “gannio” (brontolare, lamentarsi). Non sono d'accordo con chi vuole fare derivare il termine dal latino "incandescere" (infuocarsi, accendersi).

Ncamari, ncamatu: essere attonito, a bocca aperta, sbalordito, aspetto di chi ha grande fame, essere un poveraccio, istupidito. Forse per assonanza con “camus” (cavezzone, museruola): di chi presenta una maschera sul muso; oppure dal greco “chàmos”, sfinito, spossato, affievolito (termine omerico); oppure sempre dal greco “ananché” (avere grande voglia di mangiare) oppure dal francese “entamer”(intaccato, manomesso, cresciuto a stento).

Ncappare: incorrere, prendere, pigliare, imbattersi in cosa o persona molesta o dannosa. Dal latino “in capio”, attraverso un termine tardo “cappa”.

Ncapunatu: cocciuto, testardo, ostinato. Dal latino “in capone”, accrescitivo di “caput”.

Ncarcagnatu: con la testa affondata sulle spalle. Voce verbale da un tardo latino “calcaneus” derivato da “calx”.

Ncarcare: calcare, pressare, premere con i piedi, anche la preparazione di un animale da monta all'atto sessuale. Dal latino “calcare”, derivato da “calx” (tallone).

Ncarnare: essere assiduo, indurre, prendere un'abitudine, assuefarsi a qualcosa. Dal latino “in carne”, propriamente “penetrare nella carne”. In origine, era usato quasi sempre come verbo riflessivo, riferito alla seconda Persona Divina, che si è unita alla natura umana facendosi uomo.

Ncarrare: caricare su un veicolo un peso da trasportare, urtare contro  qualcuno spostandolo. Da un tardo latino “carricare”, derivato da “carrus”; “s'àncarrat'avanti” (l'ha urtato e trascinato in avanti).

Ncarricare: farsi carico, preoccuparsi. Stessa etimologia.

Ncasare: spingere dentro, in profondità. Dal greco “encàsein”, spingere in profondità nella terra (Plutarco, I sec d. C.); oppure dal latino “in capio” (prendere dentro). In spagnolo “encasar” ha lo stesso significato.

Ncavaddhru: in groppa. Dal latino “in caballo” (“caballus” era il cavallo castrato, da fatica, mentre quello da equitazione era “equus”); “na vot'appidunu ncavaddhr'aru ciucciu”, oggi tocca a te domani a me, una volta ciascuno in groppa all'asino.

Nchianare: salire al piano, montare, anche incapricciarsi, stizzirsi. Dal greco "planao". "'Un mi fà nchianà i cazzi", non mi fare arrabbiare.

Nchianchiare: imbiancare. Dal latino “in” e dal germanico “blanck”. “Chini manijd'a farina si 'nchianchid'i mani”, chi ha le mani in pasta, senz'altro ne trae qualche vantaggio.

Nchiarare: sciacquare i panni, albeggiare, anche smettere di piovere. Dal latino “in claro”.

Nchiastru, nchiastrari: cosa da nulla, di poco conto, far male una cosa. Dal latino "emplastrum", a sua volta dal greco "emplastròn".

Nchiattare: diventare grasso, obeso, tarchiato. Dal greco bizantino “platys”, oppure dal greco antico "emplatiuno".

Nchiavari: chiudere la porta. Voce verbale dal latino “clavus”.

Nchjimare: imbastire. Dal greco “fijmòo”, stringere con il filo (Nicandro II sec. a. C.), oppure dal latino “implimare”.

Nchioppare: legare il collare al cane. Vedi “acchioppare”.

Nchiummare: impiombare, inchiodare. Dal latino “inplumbare”, voce verbale derivata da “plumbus” (piombo).

Nchiuvare: inchiodare. Voce verbale dal latino “clavus” (chiodo).

Ncianciariare: dire parole senza costrutto, scherzare, sollazzarsi. Voce onomatopeica “ciac ciac”.

Nciarmare: voce in disuso. Incantare, affascinare, stregare; dal francese “encharmer”. Il vocabolo veniva utilizzato anche con un altro significato: iniziare qualcosa, principiare. Posso solo fare delle ipotesi sui secondi significati. Il francese “encharmer” deriva a sua volta dal latino “carmen” (canto, canzone, componimento poetico, ma anche profezia, formula magica, incantesimo): chi dà inizio ad un'azione, viene fuori da una situazione di immobilità, o di stallo, a cui potrebbe essere costretto da un qualche incantesimo, del quale si libera.

Ncicare: diventare cieco, anche abbagliare, rendere oscuro. Dal latino “caeco”.

Ncignare: iniziare un'opera, cominciare, avviare, principiare Dal latino “encaeniare”, più propriamente “inaugurare”. Ma “enchaìna” era anche un festa ebraica dell'anniversario di dedicazione ed inaugurazione del tempio. Il greco “encainizo” significava mettersi per la prima volta un vestito, come poteva succedere durante una festa.

Ncinaglia: vedi “anginaglia”.

Ncinnirare: sporcarsi di cenere.  Dal latino “in cinere”;

Ncipuddhrare: alterarsi, accendersi, inalberarsi, diventare di cattivo umore. Dal latino “in caepa” ( riferito al sapore aspro e forte della cipolla).

Nciutare, nciututu: diventare sciocco. Stessa etimologia di “ciuotu”.

Ncofanatu, ncofanutu: incurvato, ingobbito, piegato. Dal greco “còfino”, cesta, sporta, corbello (Strattone, V° sec. a. C.). Il termine ha assunto un significato diverso solo nel V° sec. d. C., ad opera di Giovanni Stobeo, scrittore bizantino. Nel suo quarto libro sulla storia e la politica greca, racconta la vicenda della città di Tebe, in Beozia, che, ribellatasi ad Alessandro Magno nel 335 a. C., fu da questi distrutta e gli abitanti costretti a caricarsi sulle spalle il “còfinos”, una cesta di notevoli dimensioni, pena infamante per quei tempi; curvi sotto il peso di quel fardello, e perciò chiamati “còfainodes” (piegati da un grosso carico), furono venduti come schiavi. Una etimologia più semplice potrebbe farlo derivare dal latino “ad fundum”, verso il fondo, piegato verso il basso, accasciato.

Ncomitu: malore, svenimento. Dal latino “in non commodo” (non adeguato al modo normale); “à cà ti vò bbinì u ncomitu”, che ti possa venire un malore.

Ncrapicciare: lasciarsi prendere da un desiderio, invaghirsi. Dal latino “caper”(capra), per la natura bizzarra di questo animale. In un tardo latino “caprizare” (saltellare per un desiderio) è usato da Terenzio nel suo participio presente “caprizans pulsus” (polso irregolare, saltellante). Un'ipotesi alternativa potrebbe farlo derivare da un antico volgare “caporiccio” (drizzamento dei capelli per emozione).

Ncriccare: infastidirsi, essere irritato, corrugare. Probabile fusione di una voce onomatopeica “cric” e “crispus” (ricciuto, ma anche vibrante, dimenante); “crispare crispans hastilia”, dimenare vibranti giavellotti (Genio Giovenale, II° sec. d.C.). Mi sembra un po' stirata la derivazione proposta da alcuni, dal greco "chricòs" (anello, cerchio, braccialetto).

Ncriccatu: corrucciato, infastidito, sdegnato, imbronciato. Stessa etimologia.

Ncrìscere: rincrescere, dispiacersi, dolersi. Dal latino “increscere”. Mi sembra non esatta la derivazione dal latino "aegrescere" (ammalarsi, inasprirsi, affligersi).

Ncrisciusu: svogliato, pigro, indolente. Stessa etimologia.

Ncrizzulare, ngrizzulare: avere la pelle d'oca, tremare, rabbrividire. Da un tardo germanico “grimmisa” (avere paura). Oppure, la stessa etimologia di “aggrizzare”.

Ncroccare: appendere ad un sostegno. Stessa etimologia di “cruoccu”.

Ncrupare, ngrupare: nascondere, celare, conservare in un posto recondito. Stessa etimologia di “grupu”.

Ncruscare: ingrugnire. Dal germanico “kruscha”.

Ncrusckatu: seccato, abbrustolito. Forse dal latino “crispus”, o dal gotico “kruscha”.

Ncucchia: vicino,  in coppia, accanto Dal latino “in copula”, oppure dal greco "enghùs".

Ncucchiare: accoppiare. Stessa etimologia.

Ncuccunare: accoccolarsi, raggomitolarsi. Dal greco “cocòne” (perineo).

Ncuddhrare: mettersi al collo, sopportare. Voce verbale dal latino “in collo”.

Ncufuddhrare (ncufiddhrari): riempire stringendo insieme, comprimere, pigiare. Dal latino “in” e dal greco “cuphele”, volume o spazio di un recipiente  (Plutarco, I sec. d. C.). Credo, però, che l'etimologia di questo termine sia un poco più complicata, attraverso un tardo latino “(in)fullare”, vocabolo con cui si indicavano particolari operazioni domestiche: i tessuti di lana, immersi in particolari soluzioni, venivano compressi per una migliore saldatura fra le varie fibre; oppure, nella vinificazione, le vinacce superficiali, che formavano il cappello del mosto, erano compresse verso il fondo del recipiente, per favorirne l'areazione e la moltiplicazione dei fermenti alcolici. Questo termine viene utilizzato, oggi, quando si prepara la “scapicia”.

Ncugna: ancora di più. Dal latino “cuneus”.

Ncugnare: vedi “cugnare”.

Ncujere, ncujare: premere, pressare, schiacciare. Dal latino “incogere”, oppure dal greco "engoao".

Ncuijna: incudine. Dal latino “incus”; “quanni sì ncuijna statti, quanni sì martijeddhru vatti”, quando sei incudine resisti alle avversità, quando sei martello batti, prendi l'occasione favorevole e adattati a tutte le circostanze. L'etimologia deriva da un tramite aferizzato latino volgare “ancunia” da collegarsi con il verbo “incudere”, battere con il martello.

'Ncuitari: dare fastidio, inquietare, canzonare, deridere; al riflessivo (“'ncuitarsi”) vale per adirarsi, irritarsi. Dal latino, voce verbale da “in” distrattivo e “quietus” (togliere la calma, la quiete).

Nculu: nel didietro. Dal latino “in culo”; può avere significato di offesa, di imprecazione, anche di apprezzamento, “nculu a ttìa cumi sì spiertu”, mannaggia a te come sei bravo.

Nculunulu: nudo. Dal latino “culus nudus”.

Ncuntrare: incontrare, imbattersi, andare incontro. Da un tardo latino “incontrare”.

Ncunu: qualcuno, alcuno. Dal latino “aliquis unus”.

Ncurchiulare:  il cicatrizzare di una ferita. Dal latino “cortea”.

Ncuoddhru: sulle spalle, al collo, addosso. Dal latino “in collo”.

Ncurmare: far diventare colmo, riempire fino all'orlo. Dal latino “culminare".

Ncuttiare: premere, ma anche seccare, dar noia. Dal latino “incogere”, attraverso il suo participio passato  “incoactum”.

Ncuttu, 'nguttu: pressato, folto, stretto. Stessa etimologia. In alternativa, potrebbe derivare dal greco “enghus” ( vicino, presso, accanto).

Ncuvirchiare: mettere il coperchio. Voce verbale dal latino “cuverculus”, derivato da “cooperire” (coprire).

Ndandaratu, ndandarutu: attonito, incantato, allibito, stupefatto. E' una specie di acronimo dal latino: “in tanto tempore immotus”.

Ndinna: suono di campanello, squillo. Dal latino “tinnitus”; “tinnitus dare”, vibrare sonoramente (Publio Ovidio Nasone, I sec. a.C.).

Ndruvulare: diventare torbido, impuro, melmoso. Dal greco  “trugodes”, simile a feccia, che fa deposito (Ippocrate, V sec. a. C.).

Ndruzzare: fare un brindisi accostando i bicchieri, urtare contro qualcuno o qualcosa. Potrebbe derivare dal greco “trughè”, vino nuovo, non fermentato, e quindi come augurio per la buona riuscita della vendemmia (Inni omerici), oppure da “tròpein”, andare in una direzione, verso qualcuno (Erodoto); in spagnolo “tozar” (cozzare, soprattutto riferito ai montoni). In alternativa, da un latino tardo “trusare” (urtare).

Ndùglia, nnùglia: salsiciotto fatto con carne di maiale mischiato ad interiora: le carni di maiale sono soprattutto scarti (spalla, gola, muso, orecchie e un tritato di interiora ed il quarto anteriore), mescolati tra di loro, più o meno piccanti. Dal francese “andouille”, a sua volta da un tardo latino “induvium”, in unione con "edulia" (rivestimento di cose mangerecce).

Nnuglia.

Mi piace riportare un tratto di una poesia di Donnu Pantu, tratta dalla "Briga degli studenti":
Ringrazziu a Divina Majestati
ca cumi st'atri 'un sugnu pizzende,
ca tijgni novi suprissati
ca sù i maraviglia dà gende;
cà tijgni nà nnuglia e dua linghi salati,
casucavaddhri frischi e casu vruscende;
e tijgni, grazzi'a Ddiu, ricotta tosta,
e aru capizz'lijtti puru na costa.

Ndusciatu: (vocabolo suggerito da Fiorina La Russa). Vestito bene, elegante. Dal latino "indusium", che all'origine era una tunica da festa, cerimonia, come per una parata, o per le nozze (Marziano Capella IV sec. d. C.). Vedi anche "ntusciare".

Nèglia: nebbia. Dal latino “nebula”; “in fumum nebulamque discedere”, svanire nel fumo e nella nebbia (Plinio Secondo, I sec. a.C.).

Nente: niente, nulla. Dal latino “nec inde, nec entem, nec gentem”. Anche in francese “neant”.”Chini 'un tèna nnènte ì fa, pigliad'à gatta e rà pettina” (chi non ha niente da fare, si trastulla con le cose inutili).

Nfaccia: a favore di, in faccia. Dal latino “in facie”; “cià lassat tuttu 'nfaccia”, gli ha lasciato tutti i suoi averi; “à minat'nfaccia”, l'ha colpito sul viso.

Nfigni, nfini: sino a, fino a, anche, perfino, pure. Dal latino “fine” (limite).   Può introdurre sia una locuzione temporale (“nfigni a l'urtimu”, sino alla fine), sia spaziale (“nfigni ara casa”, sino alla casa); può essere usato anche come avverbio (“ara festa su bbinuti nfigni du Belgiu”: alla festa, è arrivata gente perfino dal Belgio).

Nfunnu: in fondo, profondo. Dal latino “in fundo”.

Nfurchiare: rintanarsi, imbucarsi, nascondersi. Da “forchia”. Il termine è usato spesso quando si mette da parte qualcosa e non si riesce a trovare facilmente.

Ngagliatu: rimasto preso, incastrato, trovare un intoppo. Dallo spagnolo “encalejar”, probabilmente derivato da “calle”, a sua volta dal latino “callis” (sentiero, pista tracciata da animali), con il significato originario di mettersi in un passaggio troppo stretto.

Nganna: in gola. Dal latino “in canna” (gola, più propriamente trachea); “mè rimast'n canna”, mi è rimasto in gola (nel senso che ne ho ancora desiderio).

Ngannuliare: adescare, blandire, lusingare, allettare, attirare. Dal latino tardo “in gannare”, a sua volta dal germanico “gamn (burlare, scherzare, giocare).

Ngarrare: indovinare, cogliere nel segno, riuscire in un'opera, prendere la giusta via. In questo caso la “n” iniziale potrebbe avere il significato di “non”; dal francese “egarier”(non essere indotto in errore, non essere sviato, non smarrirsi). Altra ipotesi potrebbe essere la eliminazione della “e” iniziale (che sta per il latino “ex”)  dallo stesso verbo “egarier”. Anche in spagnolo “encarrar” ha lo stesso significato. In greco “engcharatto” ha il significato di colpire nel punto giusto.

Ngiarrare: mettere, conservare nella “ciarra”.

Ngignare: è diverso da “'ncignare” (vedi questa voce), anche se a Tarsia si fa confusione tra il suono palatale della “c” con il suono gutturale della “g”. Il significato è darsi da fare, impiegare mezzi per raggiungere uno scopo, anche arrabattarsi. E' voce verbale dal sostantivo latino “ingenium”.

Ngiuria: soprannome, nomignolo, anche offesa. Dal latino “injuria”. In questo caso, il prefisso “in” ha valore di particella negativa, quindi il significato, oltre ad essere quello di oltraggio, si riferisce a ciò che è diretto a togliere il proprio nome.

Ngiuriare: offendere. Voce verbale dal latino “iniuria”; “absit iniuria verbis”, sia lontana l'offesa dalle parole (Tito Livio I sec. d.C.).

Ngiru: in giro. Dal latino “in gyro”, derivato dal greco “ghyròs” (Polibio, II sec. a. C.).f

Ngriddhare: sollevare i cani del fucile per essere pronto allo sparo, anche inalberarsi, impennarsi, irritarsi. Dal latino “gryllus”, nel senso di inarcare come fosse un grillo.

Ngrifare: impennarsi, erigersi, adirarsi, alterarsi. Dallo spagnolo “engrifarse”.

Ngrizzare, 'ngrizzulare: vedi “aggrizzare".

Ngrugnare: in senso familiare, o spregiativo, brontolare, borbottare parole  inintelligibili, portare il muso. Dal latino “grundire”, voce onomatopeica, oppure dal greco "grutso".

Ngrupare: riporre in un luogo, un buco, un cassetto. Dal greco “entrupao” (termine omerico).

Ngruppare: annodare. Dal francese “engroupe”.

Nguacchiare: caricarsi di una situazione difficile da risolvere. Dal latino “capio” in unione con il germanico “wai” (letteralmente: prendere un guaio). Io credo, però, che questi significati sono estensivi dalla derivazione originaria. Da bambino, alunno delle scuole elementari di Tarsia, adoperavo dei mezzi di scrittura diversi dalla penna a biro, il cosiddetto “pinninu” ( per inciso, l'uso dalla penna a biro è datato al finire degli anni cinquanta); i banchi della scuola erano forniti di calamai ed inchiostro da intingere per poter scrivere. Ogni tanto succedeva che si facessero delle grosse macchie sui quaderni, vuoi perché non sempre “u pinninu” aveva la punta giusta, vuoi perché si immergeva troppo nel calamaio, cioè si faceva  “nu 'nguacchiu”, una macchia, si imbrattava il quaderno. L'etimologia del termine potrebbe allora derivare dal francese “gouache”, tipo di pittura a base di pigmenti diluiti nell'acqua, con cui si dipingevano gli arazzi. Per traslato, dall'originale macchia indelebile e non cancellabile si passa a situazione intricata, con tutte le accezioni del termine:“ Sugnu nguacchiatu”, ho tanti problemi.

Nguacchiu: situazione problematica, intricata, difficile da risolvere, disgrazia. Stessa etimologia di “'nguacchiare”.

Nianu: tacchino, perché proveniente dall'India. In francese “dindon”, pollo d'India, in inglese “Turkej koch”, proveniente da Oriente, in tedesco “calecutischer kahn”, gallo di Calcutta. Non credo che sia voce onomatopeica, dal verso che fa il tacchino (nia nia).

Nicissarii: con significato sfumato di ciò che non si può fare senza, o di cui non è possibile essere altrimenti.  Deriva dall'avverbio latino "necesse".

Nijspula: nespola. Dal latino “mespilum”. “Ccù tijmpu e ccà paglia maturin'i nijspuli”: con l'operare adagio si fa meglio a perfezionare le cose, i risultati sperati si ottengono soltanto avendo pazienza. La nespola si raccoglie acerba e poi si fa maturare su tralicci di paglia in locali arieggiati.

Nijspula.

Nitale: uovo che si mette nel nido perché le galline vi ritornino. Dal latino “nidus”.

Nigliu: nibbio. Dal latino “nibulus”.

Nipiteddhra: termine in disuso. Specie di pianta aromatica, simile alla menta, che veniva usata in cucina. Probabilmente il termine deriva dal nome dato da Plinio il vecchio (23 - 79 d. C.) e fa riferimento alla cittadina di Nepi, nel Lazio.

Nivuru: nero. Dal latino “nigrus”.

Nnàita, nnaitu: impalcatura dei muratori, ponte per la costruzione di una casa. Dal latino “in adiuto” (in aiuto, a difesa).

Nnarrimatu: ramingo, errabondo, disgraziato, orfano (nel senso che non ha una guida paterna). Dal latino “errare”, oppure dal greco “èramos”( solitario, privo di tutto, abbandonato).

Nnesta: eccetto, fuorché, anche separatamente. Dal latino “in extra”.

Nnimicizia: inimicizia, ostilità. Dal tardo francese provenzale “enemistat”.

Nnumminata: diceria, maldicenza, fama, nomea. Dal latino “in nomine”; in spagnolo catalano “anomenada”; “ vala di cchiù na bbona nnumminata che cijnti ducati”, più dei soldi ha  valore un buon nome. “Pirsuna trista, nnumminata e bista”, parli del diavolo e gli spunta la coda.

Nocca: legatura, nodo, nastro annodato. Dal longobardo “knohka” o dal germanico “knochen” (giuntura di ossa). Un'ipotesi alternativa, più attendibile, sarebbe una diretta derivazione dal latino “nodica”, aggettivo di “nodus”, con elisione sincopata e successiva assimilazione di “dic”. Si dice anche riferito al membro maschile del bambino.

Nora, norma: nuora, mia nuora. Dal latino “nurus”.

Nquitare: inquietare, preoccupare, impensierire, irritarsi, recare noia o fastidio. Da un tardo latino “inquietare”.

Nserrare: sprangare (più propriamente era il fissare un palo, da muro a muro, per chiudere le finestre). Dallo spagnolo “encerrar”.

Nserta: treccia di cipolle o aglio. Dal latino “insertum”.

Nsertare: fare un innesto. Dal latino “insertare”, frequentativo di “inserere”.

Nsina, nsinca: fino a che, sino. Dal latino “fine” con incrocio con “sic”.

Nsinu: nel seno, in grembo. Dal latino “in sinu”.

Nsiga, nsingare: segno, gesto, ammicco, cenno. Dal latino “ nn”.

Nsiti: setole del maiale. Venivano usate dai calzolai (i scarpari), unite allo spago, per introdurle nei fori sulla tomaia per mezzo delle lesina. Dal latino "seta".

Nsurtu: ictus, oppure insorgenza improvvisa e parossistica di un fenomeno morboso. Dal latino tardo “insultus” derivato da “insultare” frequentativo di “insilire”.

Nsustusu: annoiato, insistito fino alla noia ed alla sopportazione. Dal latino “insistere”; “importune insistere aliquem”, annoiare qualcuno (Marco Tullio Cicerone, I sec. a.C.).

Nta: in, dentro, tra. Dal latino “intus”.

Ntabaccare, ntabaccari: abbindolare, ingannare, infinocchiare. E' voce ormai in disuso. Potrebbe derivare dal latino “intus” e da “tabaco”, voce sudamericana pre-spagnola (gli indigeni del Sudamerica chiamavano “tabaco” un rotoletto di erbe di cui aspiravano il fumo); da qui, il senso aleatorio, ingannevole. Potrebbe avere anche etimologia araba, “tabaq”, pianta delle solanacee, voce importata in Spagna e da qui emigrata in Sudamerica.  Altra etimologia potrebbe essere quella di farla derivare da “intus” e “vacuus” (“bacuus”, vuoto), nel senso di fare qualcosa che lascia un vuoto. Con lo stesso significato è anche lo spagnolo "tabucar".

Ntacca: incisione, piccolo taglio, intacco. Dal germanico “taikka” (segno), o dal latino “tactum” (toccato), ovvero dal greco "tàcha".

Ntantarutu: rimbambito, rimbecillito, istupidito. Dal francese "entonner", oppure direttamente dal latino "attonitus".

Ntartaniare: ritardare, indugiare. Dal latino “tardare”, derivato di “tardus”.

Ntartiegnu: indugio, intrattenimento, anche passatempo scherzoso. Dal francese “entretien”, a sua volta da un volgare latino “tenire”; “Fronz'ij Brizza” spesso mi diceva: “vàt'accatta nu poc'intartiegnu”.

Nteja: voce in disuso. Tettoia, parte della stalla. Quando, nella stalla dei miei materni, si dovevano mungere le pecore o le capre, si portavano “sutt'a nteja” localino esterno all'ovile. La derivazione è dal latino “attegia” (capanna).

Ntènnere: intendere, venire a conoscenza, dare ascolto, badare. Dal latino “intendere”.

Ntieri: intero, in modo compiuto, pieno. Dal latino “integer”.

Ntinna: antenna, anche albero della cuccagna. Dal latino “antenna”, nel linguaggio marinaio latino era un'asta che reggeva l'albero maestro delle galee.

Ntinnare: squillare, mandare suoni brevi e staccati. Dal latino “tintinire, tinnire”, voce onomatopeica dal suono tin tin delle corde armoniche o delle catene a cui erano legati gli schiavi; "tinnit tintinnabulum", è suonato il campanello (Plinio).
                                                                                                                                                                                                           
Ntintu: bagnato, imbevuto. Dal latino “intingere”.

Ntippare: tappare, otturare, chiudere. Dal francese “taper”, con prefisso “in”.

Ntippulu: turacciolo. Stessa etimologia.

Ntisa: udito. Dal latino “intendere”, con l'idea di tendere l'orecchio verso una direzione, rivolgere l'attenzione.

Ntisicatu, ndisicatu: irrigidito per il freddo, intristito, come di chi ha perso vitalità e vivacità nel fisico e nella mente. Dal latino “phtisicus”, a sua volta dal greco “phtysicòs” (Pindaro IV sec. a. C.). “Marzi marzicchj/n'ura chiova, n'ura assulicchja/e pù fà chiri jilati/ cà ti fa mora 'ntisicati”.

Ntisicchiare: distendere le membra, rimanere irrigidito, contratto. Dal greco “ftisis” (Aezio, II sec a. C.).

Ntoscia: termine in disuso, a dimostrazione che i vecchi termini sono stati sostituiti da un italiano televisivo. Il significato è “ernia”, e la derivazione dal greco “èntosthia”(visceri).

'Ntra, 'ndrà, 'nfra: dal latino “intra”, tra, fra, in mezzo. Ha molti significati. a) Preposizione, come posizione intermedia di due termini collocati ad una certa distanza nello spazio, anche in senso figurato (“nà via 'ntra dui filar'i troppi; 'ntr'a ncùina e u martijddhru”); b) moto per luogo, se in dipendenza di un verbo di moto (“ ghè passatu 'ntra nu strittulu”); c) indica il tempo che deve trascorrere prima del verificarsi di un evento, oppure anche il tempo in cui l'evento si verifica (“'ndrà nu par'i simani ghè San Frangiscu”; 'ntrà dicembre e jinnaru s'ammazzan'i puurchi” ); d) può introdurre una distanza (“'ndrà nù cijntinar'i metri sim'arrivati”); e) indica i termini rispetto ai quali si verifica una condizione (“'ntrà i loro si capiscini”); f) indica un valore distributivo ( “s'ani spartut'a rrobba 'ntra ì loro”); g) valore partitivo ( “chini ghè stati 'ntra nuvi?”).

Ntràcina: pustola, carbonchio. Dal greco “anthràkion” (carbone) incrociato con “drakaina” (serpente), per il colore e la forma  delle lesioni cutanee; oppure dal latino tardo “anthrax” fuso col greco bizantino “drakaina”.  Sembra una differenza di poco conto, ma riflette la difficoltà interpretativa della derivazione dialettale greca del Meridione: continuità dal greco classico, o sovrapposizione del greco bizantino successiva alla latinizzazione?

'Ntrallazzu: imbroglio, intrigo, raggiro. Dal catalano “entralasar”, o dal francese “entralacier”, voci comunque derivate da un tardo latino “interlaceare”, formato da “inter” e “laqueus” (laccio).

Ntramare: intessere la trama sul telaio. Dal latino “transmeare”, passare al di là.

Ntramente: nel mentre, nel frattempo. Dal latino “dum interim” e poi dall'italiano antico “domentre”; in spagnolo “entremedias”. Oppure sempre dal latino “intra momentum”.

Ntrasatta, antrasune: vedi “arandrasatta”.

Ntricari: intrigare, ingarbugliare, avviluppare, anche immischiarsi in cose che non riguardano, farsi gli affari degli altri. Dal latino  “in tricari”, usare raggiri, sotterfugi.

Ntricu: raggiro, sotterfugio, intrigo. Stessa etimologia.

Ntrizzari: intrecciare. Dal latino "intexere", ovvero dal greco "trix" (treccia).

Ntrocchia: nell'espressione “figl'i 'ntrocchia”: furbo, scaltro.  Donna poco di buono. Probabilmente deriva dal latino “troicus” (troiano), secondo il significato che ne do al termine di “ntrugliare”. E' espressione meno dispregiativa e più ironica. E', comunque, espressione riferita a persona abile, scaltra. Ipotesi etimologica alternativa potrebbe essere la derivazione da “crocchio”, insieme o gruppo di persone, combriccola, turba, sostantivo da un tardo latino “corrotulare”; allora può significare generato “int'ana crocchia” e allevato in modo precario, privo del calore della famiglia, capace comunque di sopravvivere e superare le difficoltà. Altra ipotesi plausibile, peraltro fantasiosa, potrebbe essere la derivazione da un primitivo latino “antorcula”, diminutivo di “antorca” (fiaccola), mutuato da “torculum” (in giro), supponendo che le puttane svolgessero il loro lavoro ai bordi delle strade, allora come oggi, riscaldandosi, o facendo luce, con fiaccole o falò. Da “antorcula”, per metatesi, sincope ed aferesi, si passa a “ntrocchia”. Io propendo per quest'ultima ipotesi.

Ntroppicare, ntruppicare: inciampare, incespicare, anche trovare un ostacolo. Dallo spagnolo “tropecar”.

Ntrogliare: l'atto di avvolgere o fasciare una benda o una striscia di tela, a forma di rotondità. Dal greco “troulaos”, oppure dal latino “intricare”.

Ntrugliare: ingrassare, mettere peso, anche insudiciare, insozzare, sporcare. Ha un significato metaforico: i latini designavano come “porcus troianus” un maiale ucciso e cucinato alla brace, con l'addome riempito da carni di altri animali (polli, uccelli, selvaggina), a somiglianza del cavallo di Troia con dentro i soldati greci, da cui sarebbe derivata la voce “troia”, nel senso di scrofa piena, gravida, e da cui un successivo “in truje”, “in turgore”, da cui la voce verbale “turgeo”, con i significati su esposti. Un'altra etimologia del primo significato potrebbe essere la derivazione dal greco “troulòs” (cupola, costruzione rotonda) da cui il termine italiano “trullo”.

Ntrugliu: il  rimescolare di cose diverse, più o meno liquide, facendone un intruglio. In questo caso deriverebbe dal latino “trulla”, diminutivo di “trua” (mestolo), oppure dal verbo “intricare”.

Ntrummare: bere vino in gran quantità, anche possedere carnalmente una donna. Dal germanico “trumba”. La tromba, voce ormai in disuso, era una sorta di sifone costituito da un tubo con cui si travasava il vino dai barili. Per metafora: tracannare vino a iosa; oppure, nel secondo significato, agire, adoperarsi come uno stantuffo. Mi sembra, però, più verosimile una derivazione diretta dal latino "introrumpo", introduco con violenza, con impeto, e in senso traslato anche coitare.

Ntrunare: intronare, stordire con un forte rumore, frastornare, rimbombare, rimbambire. Dal latino “tronus” o “tonus”.

Ntruppicare: inciampare, incespicare. Da un tardo latino “troppa” (cespo), a sua volta dal greco “trophé”. Ipotesi alternativa dallo spagnolo “tropecar”.

Ntrusciare: avvolgere, mettere insieme disordinatamente, affardellare, insaccare. Dal latino “in trusum”, participio passato di “trudere”, oppure dal francese "trousser".

Ntrusciu: senza denari, senza un soldo in tasca, povero. Dal francese “trucher” (mendicare).

Ntruvulari: intorpidire, anche annuvolare. Dal latino “turbunus”.

Ntulittare: vestire con eleganza, con ricercatezza, come un gagà. Dal francese “toilette” (vestito, abito, abbigliamento).

Ntuornu: attorno. Dal latino “ad tornum”.

Ntupuliare: avvolgere con panno, ricoprire. Dal greco “tolupeo”, aggomitolare, agglomerare (Aristotele).

Ntuppare: cozzare, incontrare un ostacolo, avere un impedimento. Dal latino “in toppare” (“toppus”: tronco che ostruisce). Oppure dallo spagnolo "topar".

Ntuppu: spesso, grosso. Dal latino “in duplo”.

Ntura, ndura, ndureddhra: poco tempo fa, or ora. Dal latino “ante horam”.

Nturcigliare: torcere, attorcigliare. Dal latino “torcere”.

Nturcinicare: stesso significato e stessa etimologia.

Nturdinutu: intontito, sbalordito, stordito. Voce verbale da un latino “in turdo” (tordo, uccello facile a farsi catturare, quindi sciocco), oppure da un tardo latino “ex turpidire”.

Ntusciare: termine ormai in disuso. Era l'ornamento che si esponeva dai balconi delle case alla processione dei santi, anche i drappeggi che indossavano. Dal latino “indusium”.

Ntustare: diventare duro, sodo. Si dice anche riferito al membro maschile. Dal latino “in tosto”, dal verbo “torrer".

'Nu: un, uno, articolo indeterminativo. Dal latino “unus”.

Nucia: noce. Dal latino “nux”. "Na nucia 'nda nu saccu 'un fa rumuri" (una noce in un sacco non fa rumore).

Nucia du pede: malleolo.

Nucia ì cuuddhru: nuca. Da un tardo latino “nucha”, oppure dall'arabo “nukha”. Nell'espressione “ci sa minati tra cap'e nuc'i cuuddhru” significa gettarsi a capofitto in qualcosa, con il massimo impegno, noncurante dell'integrità del proprio collo.

Nuciddhra: nocciolina. Dal latino “nuceola”, diminutivo di “nux”.

Nuddhru: nessuno. Dal latino “nullus”.

Nudu: nudo. Dal latino “nudus”.

Nudu: nodo. Dal latino “nodus”.

Numminata: nomea, fama. Dal latino “ad nomen”.

Nuozzulu: nocciolo di un frutto, anche torsolo della pannocchia. Dal latino “nucleulus”.

Nustierzu: l'altro ieri. Dal latino “nunc dies tertius”, ora il terzo giorno.

Nutizziariu: giornale radio. Dal latino “notitia”.

Nutulu: inutile, vano, invano. Dal latino “inutilis”.

Nzaccanare: ricondurre le pecore all'ovile, separando gli agnelli dalle madri. Dal latino “in” e  dall'arabo “szackan” (recinto per bestie).

Nzaccare: insaccare. Voce verbale dal latino “saccus”; anche in greco “sàchos” ed in ebraico “sach”.

Nzalanutu: insensato, lunatico, capriccioso, volubile. Dal greco “selène”, luna, cioè sotto l'influsso della luna (Saffo VII° sec. a. C.); in alternativa, potrebbe derivare sempre dal greco “tàles”, che soffre e “nòos”, mente (termine omerico, Odissea). La sofferenza  di cui parlavano i greci, in questo caso, riguardava soprattutto le crisi epilettiche. Ipotesi simile potrebbe essere una derivazione, sempre dal greco “selenizomai”, essere lunatico, oppure “zalaino”, essere stordito, ebete.

Nzerrare: chiudere, serrare. Da un antico francese “enserrer”, a sua volta da una tarda voce verbale latina dal sostantivo “sera”, sbarra per chiudere la porta (Terenzio Varrone Reatino, I° sec. a. C.).

Nziammai: esclamazione. Che non sia mai. Dal latino “ne sit magis”.

Nziccare, nzippare: ficcare dentro, anche nascondersi, chiudersi, rintanarsi. Dal latino “figicare” frequentativo di “figere”.

Nzinu: nel seno, in grembo. Dal latino “in sinu”.

Nzirrare: accendersi, arrabbiarsi, irritarsi, adirarsi. Dal latino “irascor”, oppure dal latino “in”e dal greco “tzèlos”, ira, animosità (Platone, IV° sec. a. C.).

Nzitare: innestare, vedi “nzitu”; fidanzarsi, vedi “zitu”.

Nzitu: innesto, vedi “nsertare”.

Nzorfa: fiaba, strofa, cosa fantasiosa (da cui poesia). Dal greco “strofè”, voltata, a sua volta da “strefein”, girare dall'altra parte, voltare. Il coro degli antichi greci, nel cantare inni e poesie davanti agli altari degli Dei, si volgeva prima da Oriente verso Occidente, per imitare il movimento del sole, e poi, al contrario,  da Occidente ad Oriente,  per simulare il moto della Terra. Il primo movimento era detto “strofè”, il secondo “antistrofè” (Airato Soléo, II° sec. a. C.). Termine ormai in disuso.

Nzuppare: inzuppare, rammollire. Dal germanico “suppa” (fetta di pane bagnato).

Nzurare: sposarsi, prendere moglie. Dal latino “in uxore”, con voce verbale “inuxorare”. “Quann'i figli ar'allivà cap'i chiuuv'ara rusicà, quanni vù sapì i duluri ti mariti e ti 'nzuri” (per crescere bene i figli devi fare qualche sacrificio; se vuoi conoscere i dolori, ti basta il matrimonio). “Chini si nzura, ghè cundijndi 'nu jurnu, chini ammazzidu puurcu ghè cundijndi 'n'anni”: il matrimonio ti fa contento per un giorno, con il maiale e le sue carni sei contento per tutto l'anno.

Nzuratu: sposato. Stessa etimologia.

Nzurfurare: dare lo zolfo alle viti. Voce verbale dal latino “sulphur”.

Nzurtare: insultare, offendere, infastidire, molestare. Vedi “nsurtu”.

Nzurtu: insulto, offesa, ingiuria. Stessa etimologia.
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